Di Marco Tonelli
URBINO – Oltre 20 chilometri di curve e strade dissestate per raggiungere Urbino. Da Sassocorvaro ci si impiega circa mezz’ora. Questa è la strada che deve percorrere un’ambulanza per raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale ducale, il più vicino. Agli abitanti di Cagli va anche peggio: 38,5 chilometri per un viaggio di 35 minuti. Mentre a Fossombrone possono ritenersi fortunati: in caso di emergenza, possono scegliere tra gli ospedali di Urbino e Fano, quasi equidistanti. E comunque, mai meno di 23 chilometri di strada.
Gli abitanti dei tre paesi condividono la stessa sorte: i loro ospedali sono in via di smantellamento e una delibera regionale ne prevede la chiusura. Intanto, i punti di primo intervento hanno smesso di funzionare h24: di notte sono chiusi.
Il funerale. Una grossa bara di legno campeggia davanti all’ospedale Lanciarini di Sassocorvaro. E’ stato lo stesso medico a finanziare personalmente una struttura che da decenni serve un territorio che arriva fino alla vicina località toscana di Sestino. Al suo interno il reparto di lungodegenza (con 25 posti letto), un servizio di primo intervento e gli ambulatori. Una “cerimonia funebre”, iniziata martedì 12 gennaio, a cui partecipano i membri del comitato contro la chiusura, semplici cittadini e le istituzioni. Ma al tavolo per la raccolta firme e davanti gli striscioni appesi ai muri non si percepisce rassegnazione, solo tanta rabbia e voglia di farsi sentire.
“Voglio il mio ospedale, per me è tutto”, afferma Silvana Capellini: diverse operazioni all’anca e altrettante degenze. Servizi di cui, almeno per ora, non potrà più usufruire. Urbino è lontana, soprattutto per chi la macchina non la riesce più a guidare. E’ il caso di un altro sassocorvarese, 80 anni e voce possente. Lui nella città ducale non ci va e aspetta il suo destino.
“Qui bisogna sentirsi male all’ora giusta – dice Silvia Guidarelli, una trentenne sposata di Cagli – mia suocera di 82 anni venerdì scorso è caduta alle 19.30. Meno male, perché il punto di pronto intervento avrebbe chiuso mezz’ora dopo”.
Davanti all’ospedale staziona un’ambulanza del 118. Una via crucis quotidiana verso Urbino e Pesaro attraverso le curve e le strade tortuose di questo territorio. “Fa prima l’eliambulanza da Ancona che noi a tutta velocità”, ci spiega l’autista del mezzo. E pensare che da tre anni anche Sassocorvaro ha la sua pista d’atterraggio, mai utilizzata.
L’ex dottore e il suo ospedale. Sergio Castellucci ha lavorato per 37 anni all’ospedale di Cagli. Prima come aiuto medico chirurgo, poi come primario di Chirurgia dal 1975 al 2004. 20mila interventi in un ospedale in cui funzionavano cinque unità operative: medicina, chirurgia, ostetricia, ortopedia e pediatria. Senza contare gli ambulatori. Ora sono rimasti pochi posti letto per piccoli interventi chirurgici, il presidio di primo intervento e un reparto di lungodegenza. Dal 2013 l’ospedale Celli è al centro della sua battaglia contro la chiusura. Infatti, il dottor Castellucci è il presidente del Comitato Pro Ospedale di Cagli e si batte per tenere aperta una struttura “indispensabile per il territorio”, come ci spiega al telefono.
Soprattutto per la popolazione più anziana che a Urbino non riesce ad andarci: “C’è una signora che mi chiama tutti i giorni” racconta un dipendente – vive sola e vuole sapere chi deve chiamare se si sente male di notte. Fa tenerezza”. Ma nel malcontento generale, c’è anche chi denuncia gli sprechi, come Giuseppina Antognoli, una signora sulla cinquantina: “Negli ultimi anni c’erano più dipendenti che pazienti, inutile metterci una pezza oggi: bisognava pensarci dieci anni fa”.
La macchina per la risonanza magnetica nuova. A Fossombrone il problema è anche il sottoutilizzo dei macchinari a disposizione. Lo scrive il Movimento 5 Stelle in un comunicato stampa dello scorso 15 settembre: “L’ospedale è dotato di macchinari all’avanguardia che sono in funzione solo per il 30% del potenziale e sale operatorie pressoché nuove, utilizzate solo il mercoledì mattina”. Lo dicono anche i pazienti: “Una Tac nuova di zecca, e io devo aspettare fino al 2017 per la risonanza magnetica”, spiega una casalinga di 68 anni. Chi può preferisce andare a Fano o Pesaro o addirittura fuori provincia, “Sono andata a Jesi, ma non mi sono trovata bene”, continua la donna. “Questo ospedale era un gioiellino – conclude – ci andavi per qualsiasi cosa, dalle analisi alle visite specialistiche, ora non invece è un deserto”.
Realizzato con la collaborazione di Jacopo Salvadori e Dania Dibitonto